sabato 3 aprile 2010

IL TEMPIO DI CARTA DI RE SALOMONE




Potrebbe il famigerato ‘segreto’ dei Templari celarsi nel loro stesso nome? A sostenerlo è il musicologo materano Luigi Pentasuglia. A suo dire, del Tempio di Salomone (X secolo a.C.) non solo non esistono testimonianze archeologiche, ma anzi, dalla Bibbia si evince addirittura che non di un edificio si tratta, bensì di un simbolo. Nel Primo Libro dei Re è scritto che il Tempio era largo ‘20’ cubiti e fiancheggiato da un magazzino a sbalzo a tre piani, di cui quello a pianoterra largo ‘5’ cubiti su ciascun lato [A]. Sommando la larghezza del Tempio a quelle dei magazzini a pianterreno, otteniamo una larghezza complessiva di ‘30’ cubiti. Tracciando dalle estremità della nuova base due rette oblique che intersecano i vertici delle colonne (Jachim e Boaz), alte ‘18’ cubiti, poste centralmente ai lati dell’ingresso, otteniamo un triangolo equilatero da cui è possibile ricavare i ‘10’ punti del sacro simbolo pitagorico della Tetraktys [B].




        Questo simbolo, espressione del principio di coincidentia oppositorum (il tri-angolo che ha per lato il ‘4’) fu adottato dai Templari in forma criptica. Se infatti assimiliamo ipoteticamente la base del Tempio ad una corda armonica accordata sulla prima nota della scala ‘Do’, riducendone la lunghezza a ‘2/3’ (per ragioni fisico-acustiche) essa produrrà la quinta nota ‘Sol’ (Do1, Re2, Mi3, Fa4, Sol5). Quindi, essendo la distanza di ciascuna colonna dall’estremità più lontana della base pari a ‘2/3’, tali distanze rinviano simbolicamente ad altrettante note ‘Sol’: ovvero a due “quinte” [C]. È pertanto plausibile che i Templari abbiano adottato il codice “VV” per adombrare la Tetraktys, alias il Tempio di Salomone: infatti, ‘V + V’ fa ‘X’ (10) che è appunto il numero del simbolo pitagorico.


       Illuminante a riguardo è l’immagine dell’Imperatore Enrico VI, padre di Federico II di Svevia (Codice Manesse). Il sovrano regge uno scettro (“gigliato” come le colonne del Tempio di Salomone) mentre l’indice punta diritto verso uno strano cartiglio bipartito. Il codice ‘VV’ si distingue ‘capovolto’ alla base delle due ‘colonne’ cartacee: il primo ‘V’ è visibile in basso nella piega della striscia destra, mentre l’altro, in miniatura, si trova a sinistra stretto tra l’indice e il pollice del sovrano [D]. Non possiamo quindi escludere che i Templari sfruttassero questo tipo di conoscenze per ricattare la Chiesa circa l’autenticità delle sue stesse fonti dottrinali: come poteva infatti il Tempio anticipare di quasi mezzo millennio la Tetraktys, un simbolo per giunta pagano assimilato da Gesù alla “casa del Padre mio”? (Gv 2, 16). Evidentemente, il rinvio della Tetraktys al principio universale di “coincidenza degli opposti” è di fatto compatibile con la definizione giovannea di “casa del Padre”, così come il numero ‘X’ associato al simbolo pitagorico trova corrispondenza nella lettera greca ‘chi’ monogramma di Cristo.